Molti anni fa, dopo la laurea, ho trascorso un lungo periodo negli Stati Uniti in una clinica per cavalli, con l’intento di fare quell’esperienza che qua in Italia avrei fatto con difficoltà e in un tempo sicuramente molto più lungo. In quel periodo, oltre a lavorare in clinica, ho avuto l’opportunità di seguire un veterinario “di campo” e girare in molti allevamenti di purosangue per controlli di routine, vermifughi e vaccinazioni. Avete capito bene, vermifughi e vaccinazioni; oltre oceano per fortuna il ruolo del veterinario è ancora considerato importante anche per trattamenti apparentemente semplici come questi. Proprio in quelle occasioni, ricordo bene di essere rimasta sorpresa dal numero di vaccinazioni a cui i cavalli erano sottoposti, quando in Italia ci si limitava a vaccinare per influenza e tetano e, non sempre, la rinopolmonite (herpes virus). Tra tutte queste vaccinazioni c’era sia la East che la West Nile Disease, patologia virale che allora sembrava, forse anche grazie al nome, qualcosa di estremamente esotico e dunque che poco aveva a che fare con noi italiani.
Con gli anni molte cose sono cambiate, il mercato si è globalizzato e molti degli agenti patogeni presenti in luoghi apparentemente lontanissimi, hanno raggiunto in vari modi l’Europa e quindi anche l’Italia.